[FLASHBACK] - Casa Graham

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Will Graham1
view post Posted on 10/3/2016, 21:40     +2   +1   -1




GRAHAM'S REMEMBERS

Before Hannibal's capture

Ambientazione temporale: terza stagione "Hannibal"

Players: Will Graham1


:will:

Era strano. Dall’alba dei tempi gli esseri umani temevano il momento della morte. L’idea di scomparire per sempre atterriva tutti, tanto che era difficile che se ne parlasse, e anche quando accadeva lo si faceva sempre a bassa voce, come per non farsi sentire. Come per non incutere timore.

Per qualche minuto, durante la corsa in ospedale, lui era morto. Nulla di irreparabile, avevano detto i dottori, giusto una manciata di secondi. Il suo cuore si era fermato e lui aveva cessato di esistere, nient’altro che una sacca di carne e organi e sangue, anche se quello lo aveva versato quasi tutto sull’immacolato pavimento di casa Lecter.

C’erano volute due trasfusioni di emoglobina e un defibrillatore caricato al massimo per acchiapparlo per i capelli e riportarlo in vita. Da quando si era svegliato, più di una volta medici e infermieri gli avevano fatto i complimenti perché aveva lottato. Aveva lottato e aveva riaperto gli occhi, debole, tremante, confuso ma vivo. Will non li aveva corretti, ma non era andata così. Lui si era semplicemente lasciato andare alle acque calme del suo fiume, facendosi cullare verso il sonno come dall’abbraccio di una madre.

Era stato pacifico. Era stato semplice.

E si chiedeva perché nessuno gli avesse detto che sopravvivere sarebbe stato molto peggio.


L’odore del disinfettante che impregnava l’aria era insopportabile. Il bianco accecante delle pareti era insopportabile. Essere rinchiuso nella sua stessa pelle era insopportabile, ma a quello non vi era rimedio, almeno per il momento.

Gli avevano detto che il periodo di convalescenza sarebbe stato lungo. La lama che gli aveva perforato il ventre gli aveva fatto fuori un pezzo di intestino, e se era vivo secondo i medici era solo per miracolo. Will avrebbe loro riso in faccia se solo ne avesse avuto la forza. Non esisteva alcun miracolo, solo il disegno meticoloso di un uomo che gli aveva portato via ogni cosa tranne una, l’unica che avrebbe potuto donargli la pace dell’oblio. L’unica che a togliergliela a quel punto sarebbe stato un gesto di pietà.
Alana, Abigail, ogni affetto caro gli era stato negato.
Meglio la morte.

Ma no, ovviamente.

Il suo non era un Dio misericordioso.

Non ricordava con chiarezza cosa fosse successo dopo che Hannibal lo aveva lasciato andare e lui era scivolato a terra. Sapeva di essere arrancato verso Abigail per tentare di fermare il torrente cremisi che le schizzava dal collo squarciato, quello sì. Il suo ultimo ricordo di lei era un fermo immagine dei suoi occhi azzurri spalancati mentre la ragazza annegava nel proprio sangue. Sapeva che avrebbe dovuto farvi i conti finché avesse avuto vita. L’aveva avuta di nuovo per un attimo, e poi gli era stata strappata via. Non aveva nemmeno chiesto sue notizie ai medici. Sapeva che era morta con la stessa certezza con cui sapeva che un pezzo del suo cuore era morto con lei.

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Non ricordava nemmeno il momento in cui Hannibal se n’era andato. All’improvviso si era ritrovato da solo sul pavimento della cucina, un cadavere accanto a lui e la presa stretta al ventre per arginare la vita che gli spillava vermiglia tra le mani. Aveva accuratamente evitato di soffermarsi sul pensiero che molto probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto. Si era tenuto ben alla larga dalla finalità di quella considerazione, come camminando in punta di piedi intorno ai cocci di una tazzina frantumata per non ferirsi.

Per coerenza non gli sarebbe dovuto importare. Era stata sua l’idea di fare il doppiogioco, sua l’idea di fargli credere che lui fosse dalla sua parte, che volesse realmente scappare con lui. Ciò che Will aveva voluto più di ogni altra cosa era la vendetta, si diceva, anche se forse verso la fine le sue intenzioni era cambiate. Se non avesse avvertito Hannibal che l’FBI stava arrivando forse quella carneficina si sarebbe potuta evitare. Se non lo avesse mai tradito in primo luogo, Abigail sarebbe stata ancora viva e a quell’ora si sarebbero trovati in Europa, insieme. Il vuoto allo stomaco che gli dava quella consapevolezza era pari a quello che gli aveva dato incrociare lo sguardo ferito di Hannibal poco prima che lo accoltellasse. Poco prima che se ne andasse.

Will era quasi riconoscente che le dosi di antidolorifici fossero abbastanza potenti da farlo fluttuare nel nulla per la maggior parte del tempo, allontanandolo da quei pensieri.

Non era pronto per farvi i conti, gli diceva la sua parte razionale.

Non lo sarai mai, rispondeva il suo cuore.



La processione di visitatori che si avvicendarono uno dopo l'altro al suo capezzale gli ricordò quelle dei cortei funebri, quando tutti andavano a dare il loro ultimo saluto al defunto. Medici, per lo più, ma anche conoscenti, quei pochi che non si trovavano a loro volta in un letto di ospedale. Price e Zeller gli portarono dei fiori, cercando di farlo sorridere. Kade Purnell dell’FBI si presentò con un affettato augurio di guarigione da parte del bureau, i suoi reali pensieri facilmente leggibili dietro al suo sguardo freddo – non ho pietà per te, Graham, hai giocato col fuoco e hai trascinato l’intera FBI con te, e se solo non fosse per la mancanza di prove ti sbatterei in una cella e getterei via la chiave perché so che sei esattamente come il mostro che non sei riuscito a catturare - e Will avrebbe voluto avere un interruttore che gli permettesse di spegnere la propria empatia.

Anche in quello il suo Dio non era stato misericordioso.

I primi giorni passarono così, in un avvicendarsi di eventi di poco conto e di sogni agitati, e Will non era mai del tutto sicuro di essere completamente sveglio. Il mondo era una serie di impressioni veloci che si muovevano intorno a lui, o forse era lui che era un punto immobile in mezzo a quel marasma di vita. Un sopravvissuto, un redivivo, qualcuno che non si sarebbe dovuto trovare lì.

Dopo qualche tempo lo piazzarono su una sedia a rotelle. L’infermiera che lo accudiva quel giorno gli disse che se voleva poteva andare a far visita a Jack e Alana, ricoverati a loro volta su un altro piano. Lo sguardo che Will le rivolse le fece congelare il sorriso sulle labbra, e lui si sentì subito in colpa. Non aveva niente contro di lei – anonima, sulla trentina, un interesse per la medicina che era stato tarpato sul nascere dalla necessità di avere uno stipendio fisso e le aveva fatto abbandonare il sogno dell’università per infermieristica, lavoro che per questo amava e odiava allo stesso tempo – e non era certo colpa sua se avrebbe preferito farsi amputare un arto piuttosto che rivederli dopo quello che era successo.

Era difficile districare la matassa di sentimenti che provava nei loro confronti. Senso di colpa. Dispiacere. Risentimento. Voglia di urlare loro in faccia che se era successo quello che era successo era colpa loro, che se non lo avessero mai messo nella stessa stanza con Hannibal Lecter la sua vita non sarebbe mai caduta così irrimediabilmente a pezzi.

Alla fine lasciò che lo accompagnassero da Jack. Quando lo vide l’uomo era a malapena sveglio per via dei sedativi (anche lui si era salvato solo per il rotto della cuffia), ma i suoi occhi si fissarono su di lui appena lo scorsero. Non si dissero nulla, perché non c’era nulla da dire. Will restò con lui una decina di minuti, poi gli posò una mano sulla spalla e lo lasciò a riposare, spingendo la propria sedia a rotelle fino al reparto in cui si trovava Alana.

Con lei non andò così liscia.

“Hey”, la salutò dalla soglia della sua stanza.

“Hey”, rispose lei, voltando la testa quel poco che le permetteva il busto integrale studiato per non farle sbriciolare ulteriormente la schiena.

Will spinse la sedia a rotelle finché si trovò accanto al suo letto. Fissò la sua forma supina, tenuta insieme da barre metalliche e viti nella speranza che il suo corpo fosse in grado di ricostruirsi dopo la caduta, e si stupì a dover reprimere l’infantile impulso di uscirsene con un ‘Te l’avevo detto’.

“Belle imbragature”, disse tentando di buttarla sul ridere per non cedere alla voglia di essere cattivo.

“Le fanno anche in rosa, ma ho pensato che il bianco si abbina meglio”, scherzò lei a sua volta, senza che il sorriso le raggiungesse gli occhi.

Dopo qualche attimo di esitazione Will le prese la mano.

“Camminerai di nuovo?”

“Con un bastone.”

“Frederick sarà terribilmente offeso di non avere più l’esclusiva.”

Questo la fece sorridere in maniera più sincera, ma Will vide che qualche pensiero le si agitava negli occhi, ed era piuttosto sicuro di sapere di cosa si trattasse.

“Will…”

“No, Alana.”

“Will, io devo chiederti scusa.”

Will emise una risatina nervosa. Non voleva sentirle, le sue scuse. Non aveva alcun diritto di dispiacersi adesso.

“Per cosa? Per non avermi creduto all’inizio o per aver sperato fino all’ultimo che io fossi pazzo così da non dover affrontare il pensiero di aver commesso un madornale errore di giudizio?”

Aveva avuto intenzione di dirlo con tono scherzoso, ma per qualche motivo la voce gli uscì fredda come un pezzo di ghiaccio.

Alana assottigliò le labbra, cercando visibilmente di ignorare la glacialità del suo tono.

“Ho detto che mi dispiace.”

“Oh, lo so che ti dispiace”, disse passandosi nervosamente una mano sul viso. “Hai rifiutato me usando la mia instabilità come scusa per gettarti direttamente tra le braccia dello Squartatore di Chesapeake. Anche io mi dispiacerei.”

Alana distolse lo sguardo, ritraendo la mano dalla sua.

“So di essere stata cieca…”

“Questo non ti assolve.”

Fu il turno di Alana di scoppiare in una risatina incredula.

“Cos’altro vuoi che ti dica, Will? Congratulazioni, tu avevi ragione e io torto. Questo ti fa sentire meglio?”

“Non mi fa sentire peggio.”

Non sapeva da dove gli stesse uscendo tutta quella cattiveria. Aveva il sospetto che giacesse da mesi nascosta in qualche angolo della sua mente come brace sotto la cenere, attendendo solo il momento in cui sarebbe potuta tornare a bruciare.

Alana tacque, gli occhi lucidi che si posavano ovunque tranne che su di lui.

“Hannibal dovrebbe essere fiero di sé. Sei diventato crudele quanto lui.”

“La terapia del Dr Lecter garantisce sempre ottimi risultati, come tu stessa mi hai più volte assicurato.”

“Ho rischiato di non camminare mai più, Will, non credi che io abbia già pagato abbastanza?”

Will non rispose, perché sapeva che se lo avesse fatto la sua risposta non le sarebbe piaciuta. Non provava alcuna pietà per lei. Non provava nessuna particolare emozione negli ultimi tempi, a dire la verità. Si sentiva come un arto addormentato, come se si aspettasse da un momento all’altro di avvertire le punture di spillo che avrebbero segnalato il suo risveglio, solo che ancora non erano arrivate.

Il silenzio che seguì fu orribilmente teso. Fu Alana a spezzarlo, alla fine, e non per dissipare la tensione.

“L’FBI dice che lo hai avvertito, Will. Hai chiamato Hannibal per avvisarlo che Jack stava arrivando. È così?”

Will scoprì di non avere alcun problema ad ammetterlo.

“E’ così.”

“Perché l’hai fatto?”

Perché non volevo che lo catturaste.

Perché nessuno di voi meritava di prenderlo, ciechi come siete.

Perché il pensiero della sua mente brillante che si deteriora lentamente tra sedativi, elettroshock e le quattro pareti di un manicomio mi era intollerabile.

“Perché speravo che nessuno dovesse morire”, mentì.

Alana chiuse gli occhi e sospirò, come cercando di riprendere le redini di una conversazione che le era abbondantemente sfuggita di mano.

“Non voglio litigare con te, Will. Siamo dei sopravvissuti. Dovremmo farci forza a vicenda, non darci contro l’un l’altro.”

Will deglutì, abbassando gli occhi e sentendosi improvvisamente stanco.

“Non sono del tutto sicuro di essere sopravvissuto”, ammise a bassa voce.

Lo sguardo di Alana si addolcì. Una volta Will avrebbe trovato conforto in quell’espressione, lo sapeva, ma non era più così.

“La parte più difficile dell’andare avanti è non guardarsi indietro”, rispose la donna con tono gentile. “Dobbiamo trovare la forza di lasciarci il passato alle spalle.”

Will annuì meccanicamente.

Lasciò che fosse il pilota automatico a congedarlo da Alana, augurandole di guarire al più presto e facendole promesse di tenersi in contatto che già sapeva che non avrebbe mantenuto.

Fu quando fu nuovamente sulla soglia che lei parlò di nuovo.

“Se n’è andato, Will”, disse la donna alle sue spalle. “Non tornerà.”

Will se ne andò senza voltarsi, temendo l’espressione che l’altra avrebbe potuto leggergli in viso.

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Una mattina un'infermiera lo trovò con la fasciatura disfatta e le dita che artigliavano la ferita ancora dolorante lungo la sottile linea scura del sangue coagulato, come se volesse strapparsela dalla pelle. O riaprirla. La donna gli disse di smetterla, gli allontanò la mano e gli risistemò le bende. Il giorno dopo lo scoprì a farlo di nuovo, e con gentilezza gli fece presente che se non avesse smesso non ci sarebbe stata alcuna speranza che la cicatrice scomparisse.

Non smise.



Dopo qualche settimana iniziarono a farlo stare in piedi. Prima solo qualche minuto, fermo immobile con una mano sulla ringhiera metallica del letto, giusto per abituarsi a sentire nuovamente il peso sulle gambe. Poi qualche passo in giro per la stanza, e dopo ancora su e giù per il corridoio. Ogni volta l’impresa lo sfiancava come se avesse scalato una montagna, e il resto del giorno lo passava a dormire o, quando non riusciva a evitare che ce lo portassero, di fronte a una delle finestre che davano sul giardino sottostante l’ospedale.

Will osservava i pazienti in fase di recupero passeggiare in mezzo al prato, cosa che gli avevano assicurato gli avrebbe certamente risollevato l’umore, e l’unica cosa che gli veniva da pensare era che il sole non avesse alcun diritto di brillare così luminoso.

“Non lo trovi intollerabile?”, chiese la voce di Abigail accanto a lui.

Will non si voltò a guardarla, per paura che vederla avrebbe potuto illuderlo che fosse realmente lì. Restò a fissare le figure che si aggiravano pacifiche per il giardino. Incuranti. Ignare.

“Il mondo non si è fermato”, osservò a bassa voce, sentendo in bocca il sapore del risentimento.

“E la Terra non ha smesso di girare, e il sole non si è spento. La vita va avanti. Nessuno sa che sono morta. A nessuno importa.”

“A me sì.”

“Tu non conti. Mi avevi già persa una volta.”

“Ed è stato ancora più difficile.”

“Solo perché non c’è qui Hannibal a fingere di leccarti le ferite.”

Will sentì un groppo in gola formarsi alla parola ‘fingere’. Buffo che dell’intera frase quello fosse l’aspetto che lo disturbava di più. Con la coda dell’occhio vide Abigail voltarsi verso di lui, e quando parlò nuovamente il tono della ragazza si era fatto più gentile.

“Anche noi gli manchiamo, Will. Ci ha lasciati alle spalle, ma aveva fatto posto per me e te nella sua vita.”

Will stirò le labbra in quello che sarebbe voluto essere un sorriso, ma che aveva invece tutta l’aria di una smorfia di dolore. Si chiese cosa dicesse il fatto che persino i fantasmi partoriti dalla sua mente avessero pietà di lui.

“Ti ha uccisa davanti ai miei occhi, Abigail.”

“Sì, per punirti. Ma voleva che tu vivessi.”

“Mi ha lasciato lì, a morire.”

“No. Ti ha accoltellato con precisione chirurgica per non ucciderti.”

Will sorrise senza allegria.

“E credi che dovrei ringraziarlo?”

“Credo che dovresti chiederti il perché.”

Will scosse la testa, passandosi una mano sul viso.

“Non voglio saperlo.”

“E cosa vuoi?”

Will fissò lo sguardo sulle chiome degli alberi, mosse appena dal vento.

Ripensò a Hannibal, al momento in cui gli aveva fasciato le nocche doloranti dopo il suo primo omicidio volontario, a come aveva detto di essere fiero di lui. Ripensò ai momenti in cui si era lasciato andare all’illusione che stessero realmente per partire insieme, che sarebbe realmente andato con lui, e al senso di completezza che aveva provato. Niente più necessità di amalgamarsi alle persone intorno a lui, di passare inosservato, di sembrare normale. Hannibal lo aveva accettato in tutto e per tutto. Hannibal gli aveva mostrato lati di sé che da solo non avrebbe mai potuto accettare.

Hannibal se n’era andato, lasciandolo a dissanguarsi sull'elegante pavimento di marmo come la tazzina spezzata che era.

“Vorrei che tu non avessi dovuto pagare per i miei errori”, rispose.

La ragazza inclinò la testa da un lato, in un modo che a Will ricordò orribilmente Hannibal.

“Vorresti essere al mio posto.”

Will scrollò appena le spalle.

“Sarebbe solo giustizia.”

“La vita non è giusta con nessuno. Non c’è alcun motivo per cui avrebbe dovuto esserlo con me, dopo tutto quello che ho fatto.”

Will si voltò finalmente verso di lei, osservando il suo profilo e le piccole lentiggini che il sole faceva spiccare sulle sue guance. Sembrava così reale. Dietro i suoi occhi poteva persino vedere agitarsi pensieri su suo padre, su Hannibal, su ciò che aveva fatto pur di accontentare entrambi. Una bambina persa in un mondo più grande di lei, la cui unica colpa era quella di essersi aggrappata alle persone sbagliate per non affogare.

“Non c’è nulla di sbagliato in te”, disse con enfasi, e Abigail si voltò a guardarlo. “Quello che hai fatto sono state le circostanze a dettarlo, ciò volevi realmente era non restare sola. Non devi vergognarti di temere l’abbandono.”

La ragazza sorrise, sfiorandogli la spalla in una carezza incorporea.

“Nemmeno tu, Will.”



“Will Graham?”

La voce alle sue spalle spezzò quel momento, e Will sbatté le palpebre, ogni traccia di Abigail scomparsa in un baleno. Will si voltò, ancora disorientato, trovando un infermiere sulla porta che lo guardava con aria incerta. Si chiese se lo avesse sentito parlare da solo o se fosse stato tutto nella sua testa. Non era mai sicuro di quanto a fondo lo trascinasse la sua mente quando iniziava a vedere cose che non c’erano.

“Sì?”, chiese dopo essersi schiarito la voce.

“Il primario dice che domani la dimettiamo. Può tornare a casa”, disse, poi esitò un momento. “Tutto a posto?”

Will annuì senza guardarlo negli occhi, non volendo vedere il dubbio nell’espressione nell’altro, il dubbio che ci fosse in lui qualcosa che non andava.

“Tutto a posto”, mentì, tornando a voltarsi verso la finestra e sperando con tutto il cuore che l’infermiere non gli facesse altre domande.

L’uomo restò lì dov’era qualche secondo, quindi sentì i suoi passi allontanarsi e Will tirò un sospiro di sollievo. Rimase alla finestra ancora qualche minuto, quindi andò a preparare le sue cose.



Tornare nel mondo reale fu come schiantarsi in acqua dopo essersi lanciati da una scogliera, doloroso e brutale. Mentre lui galleggiava nel torpore ovattato dell’ospedale, fiumi d’inchiostro erano stati scritti a proposito di ciò che era successo, e Will si ritrovò a leggerli tutti con la foga febbrile di un tossicodipendente in astinenza. Sapeva benissimo che gli avrebbe fatto solo male, ma non riusciva a smettere.

Scoprì che Freddie Lounds si era introdotta in ospedale mentre lui era in coma e aveva scattato una foto del suo corpo nudo e spezzato. Will sapeva che se ne avesse avuto la forza le avrebbe volentieri torto il collo, ma non l’aveva, né quella per farle effettivamente del male né quella per curarsi realmente di ciò che aveva fatto. Si chiese se Hannibal leggesse ancora Tattlecrime. Se persino in Europa, in Asia, o in qualunque cazzo di posto fosse andato a infilarsi con la sua psichiatra seguisse ancora ciò che accadeva a Baltimora – a Will – e non appena formulò il pensiero si obbligò a sopprimerlo. Non importava. Non faceva nessuna differenza.

Di tutti gli aggettivi che aveva sentito riferire ad Hannibal da quando era uscito, ‘pazzo’ era quello che più odiava, quello che più di tutti si allontanava dalla realtà, talmente semplicistico e ingenuo che se solo si fosse ricordato ancora come fare si sarebbe messo a ridere. Era come guardare un diamante e vedere solo una delle mille sfaccettature che lo fanno brillare di luce, come osservare un’opera d’arte e soffermarsi sulle singole pennellate e non sulla figura d’insieme.

Tutto ciò che gli altri vedevano quando pensavano a Hannibal era il mostro, il cannibale, il serial killer che aveva mietuto più vittime di quante sarebbero mai stati in grado di accertare, e Will li disprezzava per questo. Non sapevano, non capivano, non vedevano. Erano gli stessi idioti che si erano fatti abbindolare da lui per anni, in fondo, e che avrebbero continuato a farlo se solo Will non avesse a fatica aperto loro gli occhi. Eppure era stato così ovvio, così palese. Avrebbero dovuto capire con chi avevano a che fare dal modo stesso in cui il dottore spesso poneva le sue frasi, angolandole appena in maniera tale da far sì che facessero male, aghi dolorosi al soldo di quella distratta voglia di ferire, di quell'istinto così profondamente parte di lui, della sua mente, di ciò che gli psichiatri chiamano ‘psicopatico’, un essere che non ha in sé altro istinto se non la distruzione.

Ma anche quello non era del tutto esatto, in fin dei conti, se Will fosse stato onesto con se stesso - e l'onestà era un lusso che raramente ormai si concedeva per paura di ciò che avrebbe potuto vedere nel suo riflesso se mai si fosse messo uno specchio di fronte. Nello sguardo di Hannibal aveva visto l’orgoglio del creatore che guarda verso la propria perfetta, magnifica creatura. Aveva visto la fascinazione, l’ammirazione, il coinvolgimento. Le aveva sentite nella sua mente quando si era immedesimato in lui, e una parte di Will aveva gioito lusingata.

Non aveva nemmeno abbastanza parole per insultarsi.

Quando finalmente rientrò in casa, sei settimane dopo aver quasi perso la vita, fu come introdursi nella vita di qualcun altro. Come guardarsi allo specchio e scoprire che il proprio riflesso non è più un’accurata rappresentazione del proprio essere. L’FBI era venuta e se n’era andata, probabilmente in cerca di indizi che Will non aveva circa l’ubicazione di Hannibal, nonostante avessero cercato di non renderlo eccessivamente palese. A Will non importava. La violazione della sua privacy era l’ultima in un lungo elenco di violazioni che aveva subito nell’ultimo periodo.

L’indomani sarebbe andato a prendere i suoi cani al canile dove erano stati lasciati durante la sua convalescenza. Era strano non sentire il familiare ticchettio delle loro unghie sul pavimento di legno, non sentirli uggiolare per richiamare la sua attenzione. Ora come ora la casa era fin troppo vuota.

Will posò le chiavi sul tavolo del soggiorno, guardandosi intorno nell’ambiente semibuio. La sua giacca pendeva dall’attaccapanni. I piatti e i bicchieri giacevano asciutti sul lavandino, impilati e pronti per essere messi via. La sua poltrona preferita era sistemata al suo solito posto di fronte al camino spento, così che la sera potesse leggere comodamente alla luce del fuoco prima di andare a dormire.

Era tutto perfettamente in ordine, pronto perché ricominciasse a vivere.

Era tutto a posto.

Tutto a posto.

Si tappò la bocca con la mano prima che l'urlo che gli stava nascendo in gola avesse modo di uscire. Se avesse iniziato a gridare sapeva che non avrebbe più smesso. Si sarebbe consumato poco a poco, e di lui non sarebbe rimasto altro che la sua voce straziata, come successe a Eco nel mito, a rimbalzare tra le pareti di quella casa che lo opprimeva con la familiarità di una vita che era stata e non sarebbe più tornata.

Si ritrovò in ginocchio, il petto scosso da un principio di iperventilazione, le dita affondate nella stoffa dei jeans come in cerca di un appiglio qualsiasi. La stanza girò intorno a lui, improvvisamente più buia di quanto non fosse stata poco prima, o forse era semplicemente la sua vista che si anneriva per il panico.

Will si sdraiò a terra in posizione fetale, tentando inutilmente di riprendere il controllo di sé.

Era da solo, nel buio, e non aveva alcuna via d’uscita.

Non sei solo, Will, disse la voce di Hannibal emergendo dai suoi ricordi, una promessa e una minaccia allo stesso tempo, e Will sperò che bastasse coprirsi le orecchie per non sentirlo.

Sono qui accanto a te.

Ma no, ovviamente.

Il suo, d'altronde, non era un Dio misericordioso.

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Edited by Hannibal Lecter™ - 10/3/2016, 22:10
 
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